Galassie della sparizione

Il primo verso: "Adesso che non ci sei più", rivisitando The bed's too big without you dei Police. L'ultimo verso: "Morire inconsapevole", rivisitando (Special treatment for the) Family man dei Tuxedomoon. Le covers liriche, e anche (spesso) ludiche, che il trio Montanari-Nove-Scarpa (un narratore "di genere" e traduttore; un narratore-poeta; un narratore-critico) affonda sulla tradizione rock, sono segnate da qualcosa come un avvertimento di morte. Un avvertimento, che possiamo sentire assai prossimo a una consapevolezza di estinzione. O di un'avvenuta perforazione dell'orbita del fuori-controllo: Nelle galassie oggi come oggi (che è sprezzatissimo titolo, per una raccolta di poesia). Sarà anche perché la "tradizione" eletta è quella terminale e addirittura suicidale del (diciamo) "rock" - terminale, suicidale, per il rock stesso e la sua tradizione, e per la soggettività che al rock si riferisce (qui, da Heroin, ai Suicide, ai Joy Division, a Silence is sexy degli Einstürzende Neubaten, fino appunto ai primi Tuxedo). Perché il grande rock eversivo (che, cioè, destabilizza il mondo, e se stesso insieme al mondo), porta sempre, dentro di sé, la coscienza di una negatività che non conosce più la via di fuga d'una catarsi, eccetto quella (se proprio) d'una pura distorsione sonica (della necessità dello spreco di sé). Al pari della grande poesia (e della grande arte, detto in generale), la lingua di questo rock (il più grande) lavora sempre contro se stessa: forma aperta proprio quando si chiude, onda che si svuota, si approssima allo zero, proprio quando sembra poter giungere a una pienezza di potenza, senso che si inverte quando parrebbe aver raggiunto il suo punto di non-ritorno. Il negativo del rock è, in questo, purezza d'uno spirito critico (e cioè anche, spirito di crisi), che abita dentro la forma grafica dell'onda sonora, e resta indistinguibile da questa. Se emerge, è solo come il resto di un suono. Ma poi c'è un altro motivo, con cui possiamo spiegarci il sentimento di sparizione che, nel rumore di queste versificazioni (in qualche caso - Heroin, Barbie girl - da ascrivere fra i capolavori rarissimi in poesia venuti fuori nell'ultimo paio di decenni), non riesce ad estinguersi; anzi, si potenzia. Se avvertiamo qui un senso d'incombente sparizione, è soprattutto perché è l'istituzione stessa del rock che si è disintegrata. Le covers rivelano, in questo - più ancora che una radicale sostanza post-rock (rock nell'epoca della scomparsa del suo suono) - una profonda natura di fantasma. Fantasmi di fantasmi, copie false/adulteranti di un originale che se sopravvive è solo come citazione di se stesso (sottratto al suo momento: a quel tempo "storico" che è stato necessario per la sua pienezza). Oggetti che qui, fermati sulla pagina, hanno perduto la loro natura di suono, salvo recuperarla nelle performance che i tre concedono qualche volta, oppure, meglio, nella ricostruzione "a orecchio" del lettore (che ritroverà, qui, una strumentazione ritmica e rimica che è sempre fantasticamente assordante - fino al frappé assoluto del moderno, l'estate e la muraglia di Montale strapazzate in un rimario Oulipo - tecnica, cioè, la cui complessità critica non viene meno neanche nei più apparentemente gratuiti abbandoni al puro gioco). Contorni di senso, che aderiscono come larve alla superficie interna dello schermo, per plasmarla (alla maniera, diciamo, di quel video leggendario e spaventevole, di Chris Cunningham, da Aphex Twin): fantasmi intrecciati a corpi, corpi che pensano altri corpi, che li pensano come fantasmi. Fra Ghosts (Japan) e Ghost Rider (Suicide), fra Bela Lugosi (Bauhaus) il vampirizzato spettro del Major Tom (Ashes to Ashes di Bowie) quello suicidale di Ian Curtis (Decades) e l'odore forte dei Teen Spirits (Nirvana), fra plastiche icone di corpi e tangibili sessi di plastica, una folla di lèmuri serpeggia fra queste pagine, risalita dalle cave di quella gotica dimora che chiamiamo "rock", in un acido vibrare di onanismi. - Come se fosse lì, e non altrove, in una corsa pazza di spiriti suicidi, l'ultima, più vera polvere del (suo) Senso. - E' per questo, credo, che la rivisitazione (la "cover") diventa qualcosa di rischiosamente, vischiosamente vicino ad una Visitazione.

- Scrivici per ogni curiosità e richiesta su Tommaso Ottonieri -